Vesuvio: che fare?
Come la pioggia, una futura eruzione del Vesuvio è insita nei cicli della Natura e il vulcano che sovrasta il golfo di Napoli, certamente, un giorno o l'altro si sveglierà. Il rischio di un disastro, forse il più grave che abbia mai colpito il nostro paese è certamente altissimo. E questo sia per la dinamica delle eruzioni del Vesuvio, che possono essere anche violentissime, ma soprattutto per la presenza di circa 600.000 persone stipate in un territorio congestionato, oltre ogni limite, dalla speculazione edilizia e dal traffico. A peggiorare le cose subentra una vulnerabilità culturale delle popolazioni al rischio vulcanico determinata dal fatto che l’ultima eruzione si é verificata quasi mezzo secolo fa. Questo significa che l’attuale popolazione dell’area, a differenza di quelle che l’hanno preceduta, non sa cosa sia effettivamente un’eruzione vulcanica.
Oggi, infatti, il pericolo più grande nell’area vesuviana è costituito dal panico che potrebbe scatenarsi al manifestarsi di un evento improvviso (e del tutto "normale" in un’area vulcanica) come una fumarola o un boato sotterraneo e gli scenari ipotizzabili in questa circostanza sono drammatici: risse e conflitti a fuoco agli incroci, ai caselli autostradali, ai distributori di carburante... vittime per schiacciamenti, infarti, incidenti. Ma questa è storia di oggi. In passato, infatti, durante le eruzioni (dal 1631 al 1944 il Vesuvio è stato sempre in attività eruttiva esterna) non scappava nessuno ma si restava sul posto per spalare la cenere che il vulcano andava accumulando sui tetti delle case, per spegnere gli incendi, salvare le città. Dal secondo dopoguerra in poi la situazione cambia clamorosamente.
Grazie anche alla scomparsa di fenomeni vulcanici esterni, l’area conosce un vorticoso sviluppo gonfiandosi di migliaia di persone che s’insediano sempre più in alto, verso i crateri. Ognuno vuole vedere nella fittissima urbanizzazione dell’area la garanzia del definitivo "spegnimento" del vulcano e la parola "eruzione", anche a seguito di campagne stampa condotte all’insegna di un sensazionalismo a tutti i costi, (addirittura si è arrivati a favoleggiare su un noto settimanale di "Un milione di morti in caso di risveglio del Vesuvio") diventa tabù: un sinonimo di sicura e improvvisa morte. Un evento dal quale salvarsi con una precipitosa fuga. Tra l’altro questo enfatizzare il pericolo finisce per portare alla sua rimozione e le stesse persone che all’insorgere di un qualsiasi fenomeno vulcanico sarebbero disposte a lanciarsi in una rovinosa fuga, oggi sono del tutto insensibili a qualsiasi discorso sul "rischio Vesuvio" e vedono nella costruzione di una "villetta tra le pinete" (e cioè in aree ad elevatissimo rischio vulcanico) la loro principale aspirazione.
Di fronte a questa situazione, fondamentale sarebbe sviluppare una capillare campagna di informazione, per restituire alla popolazione vesuviana quella "memoria storica" che le ha permesso di convivere per secoli con le eruzioni del Vesuvio, e redigere un efficace Piano di emergenza. Invece, analizzando quello che è stato fatto e quello che è in cantiere nel campo della pianificazione dell’emergenza nell’area vesuviana, tutto sembra andare nella direzione opposta.
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